di Alessandro Tullio,
Docente di Programmazione e Controllo, Dottore Commercialista, Consulente Aziendale

Tratto da:

ATTI DEL CONVEGNO U.N.G.D.C.E.C.

ANCONA 2-3-4 OTTOBRE 2008

TEATRO DELLE MUSE - ANCONA

 

Il capitale intangibile sta diventando sempre più importante perché è la fonte del vantaggio competitivo dell’impresa, funzione, a sua volta, delle abilità detenute dalla medesima. E’  evidente l’importanza sempre più crescente assunta dai beni immateriali che in alcuni settori sono già in una posizione di netta preminenza rispetto ai componenti materiali del patrimonio.  Ne deriva che la nozione di patrimonio al giorno d’oggi deve essere estesa anche ai beni immateriali e ciò è confermato osservando le diverse realtà aziendali. In alcuni campi di attività il peso dei beni immateriali fra i fattori produttivi strategici è di gran lunga superiore al peso dei beni materiali. I beni immateriali hanno un’importanza rilevante sia che ci troviamo in una realtà aziendale ad alto contenuto innovativo, sia che ci troviamo in una realtà aziendale matura.

Nella prima saranno in primo piano la capacità di ricerca, i contenuti distintivi dei prodotti e i contenuti peculiari delle tecnologie. Nella seconda l’attenzione maggiore sarà posta sui marchi, sulla struttura di distribuzione e sul possesso di tecnologie distintive che accrescano l’efficienza della produzione. Inoltre immagine, know-how tecnico e portafoglio clienti sono i punti di forza delle aziende ad alto contenuto professionale, organizzazioni operanti nel settore della comunicazione, società di servizi finanziari, enti di gestione di patrimoni mobiliari che in contrapposizione hanno un patrimonio tangibile assai contenuto.

Occorre, quindi, definire in modo univoco cosa si intende per “intangibile” e “immateriale” ed il compito è tutt’altro che semplice vista la natura di questi beni, la loro eterogeneità ed il vasto ambito applicativo. In passato venivano ricomprese all’interno delle risorse immateriali le risorse prive di fisicità, ma così facendo venivano raggruppati nello stesso ambito beni del tutto eterogenei.

In linea di principio per giudicare quali siano i beni immateriali rilevanti in un determinato settore ed in una particolare azienda conviene considerare i principali fattori critici di successo ed i differenziali competitivi. Per assumere la figura di bene intangibile, un fattore critico portatore di importanti  vantaggi competitivi deve tuttavia soddisfare tre requisiti:

  • essere all’origine di benefici economici di entità apprezzabile;
  • essere trasferibile;
  • essere misurabile.

Il capitale intangibile può essere distinto in:

  • Capitale umano

Il concetto di capitale umano è alquanto ampio da definire, esso è la sintesi non solo delle competenze, delle capacità e delle esperienze aziendali, ma anche di quei valori etici e culturali che rappresentano la filosofia di vita dell’intera organizzazione. Nell’attuale ambiente competitivo, caratterizzato da velocità, interconnessione e immaterialità l’individuo e con esso il capitale umano diventa il vero asset strategico su cui investire. Il management deve quindi prestare la dovuta attenzione al fattore umano curando alcuni specifici aspetti quali:

  • lo sviluppo delle competenze in quanto esse rappresentano i principali fattori con i quali le risorse umane contribuiscono allo sviluppo del business: la competenza genera valore attraverso la conoscenza, il know-how, le abilità delle persone stesse; è importante quindi investire su di essa al fine di accrescerla tramite la formazione e l’aggiornamento in modo che le competenze individuali si traducano in conoscenza ad uso dell’organizzazione;
  • la condivisione delle informazioni per avere valore cioè le informazioni devono essere collegate ad altre informazioni; solo così possono diventare la base per l’apprendimento organizzativo. Obiettivo del management è costruire un ambiente in cui le persone sfruttano e condividono l’insieme di informazioni;
  • la valorizzazione ed il riconoscimento: miglioramenti negli inquadramenti contrattuali e retributivi, avanzamenti di carriera, piani di vendita di azioni ai dipendenti tramite l’esercizio di stock option, sono tutti meccanismi con cui il management può dimostrare interesse ed apprezzamento nei confronti dei collaboratori per un lavoro ben svolto;
  • il coinvolgimento dei lavoratori nell’assunzione delle decisioni: partecipare alle decisioni significa confronto, informazione, trasparenza, influenza e diffusione delle responsabilità, ma significa anche gestire e ridurre le tensioni ed i conflitti. Alleggerire la scala gerarchica e favorire il processo di delega sono senza dubbio due ingredienti importanti che dovrebbero essere presi nella giusta considerazione dal management nelle politiche di gestione delle risorse umane;
  • la nascita e la diffusione di un clima aziendale nel quale i lavoratori si sentano a proprio agio così da poter esprimere appieno tutte le loro potenzialità;
  • l’implementazione di un sistema di comunicazione interna efficace in cui il dialogo all’interno e all’esterno dell’azienda divenga il meccanismo fondamentale per rendere il cambiamento parte integrante della cultura d’impresa;
  • la condivisione dei valori per cui la fiducia, il rispetto, il sostegno reciproco, la centralità del cliente, la disponibilità alla collaborazione, la trasparenza informativa, la propensione all’iniziativa e la rilevanza delle competenze possedute rispetto allo status e al potere detenuto nell’impresa divengano i principi e gli obiettivi cui i soggetti devono orientare e conformare le loro azioni;
  • la motivazione, così che il lavoratore operi con maggiore entusiasmo ottenendo risultati positivi per l’organizzazione;
  • l’identificazione con l’azienda: il management deve trasmettere un senso complessivo di appartenenza attraverso la valorizzazione dei dipendenti, la loro partecipazione alle decisioni e le ricompense
  • Capitale strutturale

E’ l’infrastruttura che consente al capitale umano di esprimere il suo potenziale e con il quale esiste una relazione di interdipendenza dinamica.

Esso è costituito da:

  • il valore organizzativo. I processi vengono infatti spesso descritti in appositi manuali, la struttura è riportata negli organigrammi e le scoperte e le invenzioni vengono brevettate: tutte forme “fisiche” che incorporano il valore organizzativo dell’azienda.
  • La cultura aziendale che rappresenta l’insieme dei valori, atteggiamenti, convinzioni profonde, credenze, linee guida ed assunti taciti che sono condivisi tra coloro che operano in azienda e definiscono l’identità più profonda dell’impresa stessa.
  • La capacità dell’impresa di proiettarsi verso il futuro, attraverso il rinnovamento continuo e lo sviluppo della propria struttura. Naturalmente le difficoltà operative del management sorgono laddove si manifesta la necessità di mediare le esigenze di innovazione con la capacità di ottenere risultati nel breve-medio termine.
  • Capitale Relazionale

E’ l’insieme delle relazioni tra l’impresa ed i suoi interlocutori sociali ed è formato prevalentemente da una serie di rapporti stabili ed acquisiti, caratterizzati da valori condivisi con l’ambiente esterno. L’intera collettività non è solo interessata al corretto funzionamento dell’azienda ma anche al contributo da essa dato al miglioramento della qualità della vita. I consumatori, sono estremamente attenti al rapporto costi/benefici che sottostà alla disponibilità e all’uso dei beni e dei servizi da essa prodotti. I fornitori di risorse sono invece interessati alla distribuzione di ricchezza creata quale corrispettivo delle risorse cedute all’impresa. L’imprenditore, infine, mira anch’esso ad acquisire una parte della ricchezza prodotta oltre che ad assicurarsi, nel tempo, il miglioramento della sua posizione patrimoniale (nella sua qualità di titolare delle risorse tangibili ed intangibili) e reddituale (in quanto percettore dei futuri flussi di reddito). L’azienda deve quindi orientarsi al soddisfacimento di tutte queste attese gestendo in modo accurato e corretto le varie relazioni che da esse scaturiscono e che la coinvolgono.

 

Una buona gestione del capitale relazionale genera effetti positivi anche sul capitale strutturale: le relazioni possono infatti contribuire al miglioramento del processo produttivo grazie, per esempio, al coinvolgimento del fornitore sul controllo della qualità o alla migliore integrazione di tutti i partecipanti al programma di produzione o allo sviluppo congiunto di nuovi prodotti. Per contro, l’interazione tra capitale umano e capitale relazionale produce nuove occasioni e nuove modalità di apprendimento: numerosi studi hanno infatti dimostrato come le fonti dell’innovazione siano spesso da ricercarsi nelle fitte reti di relazioni intrattenute da imprese, università, centri di ricerca, fornitori e clienti. In pratica le tre macroclassi del capitale intellettuale non sono tra loro indipendenti bensì complementari, con la conseguenza che il valore non viene generato direttamente dai singoli fattori ma dall’interazione promossa tra essi.

Il sistema di controllo strategico ed il reporting aziendale

I repentini e continui cambiamenti ambientali citati nella prima parte del presente testo generano nella direzione  aziendale l’esigenza di avvalersi di un valido ed efficiente sistema di controllo strategico. Numerosi studiosi sono soliti tenere distinti i due processi che caratterizzano i sistemi di pianificazione e controllo:

  • la pianificazione strategica
  • il controllo di gestione

Entrambi gli strumenti hanno la funzione di guidare l’impresa verso gli obiettivi definiti. Tuttavia, mentre il “controllo di gestione” viene inteso quale strumento di natura operativo (programmi e budget di breve periodo), la pianificazione strategica deve valutare complessivamente il contesto in cui opera l’impresa (ambiente, mercati, concorrenti, prodotti, tecnologia, etc.) definendo gli obiettivi di lungo periodo e valutando non solo la coerenza tra gli obiettivi strategici e quelli di natura operativa, ma anche verificando costantemente che le valutazioni su cui si sono basate le  strategie  imprenditoriali permangano nel tempo.  Nonostante la condivisione delle differenze tra i due processi sopradescritti,  l’autore del presente testo ritiene errata  la terminologia utilizzata che  distingue la pianificazione strategica dal controllo di gestione.

Si ritiene, infatti, che il controllo di gestione  sia l’insieme delle tecniche necessarie a presidiare l’efficienza e l’efficacia dell’attività dell’impresa, sia in termini consuntivi che prospettici, sia con valutazioni di natura quantitativa che qualitativa. Di conseguenza sia la pianificazione strategica che quella operativa vengono considerate parte integrante del controllo di gestione, pur necessitando per la loro realizzazione di differenti strumenti e sistemi informativi.

Le imprese applicano i metodi di pianificazione strategica per interagire con l’ambiente e per valutare la sopravvivenza e lo sviluppo aziendale nel tempo. Infatti, la pianificazione strategica agevola la direzione/proprietà nell’adattare l’attività aziendale ai cambiamenti ambientali, con la definizione di programmi ed obiettivi in funzione delle risorse di cui si vorrà disporre. Inoltre, la pianificazione strategica impone alla direzione non solo una strutturata analisi e riflessione sugli eventi potenziali, ma la sollecita a definire obiettivi di medio e lungo termine che risultino vere e proprie sfide rispetto alla realtà consolidata.

Per i suddetti motivi, il processo di controllo strategico è uno strumento essenziale dell’attività manageriale poiché favorisce ed incentiva la ricerca di nuove opportunità, l’innovazione tecnologica e dei sistemi organizzativi, il coinvolgimento dei diversi responsabili operativi, diffondendo sia verticalmente che orizzontalmente la cultura della responsabilità per obiettivi strategici.

La realizzazione, quindi, della pianificazione strategica si presenta complessa e richiede non solo la disponibilità di informazioni di difficile ottenimento, ma anche la definizione e la valutazione di un piano coerente con le azioni da intraprendere e le risorse interne di cui si dispone, che, tuttavia, definisca le nuove prospettive strategiche dell’impresa in simbiosi con l’evoluzione ambientale e con le principali variabili esterne. La pianificazione strategica rappresenta il processo rivolto alla determinazione degli obiettivi di medio e lungo periodo dell’impresa, alla definizione delle linee di condotta da attuare ed alla allocazione delle risorse necessarie per il raggiungimento degli obiettivi strategici definiti. Le complessità ambientali di una economia caratterizzata da elevata instabilità costringono la direzione aziendale  a  strutturare un processo di rilevazione continua delle informazioni necessarie per valutare i cambiamenti ambientali, al fine di raggiungere e/o mantenere il vantaggio competitivo dell’impresa.

Le fasi fondamentali per una efficace pianificazione strategica  possono essere riassunte come di seguito descritto:

  1. analisi dell’ambiente, dei mercati e dei concorrenti
  2. la  “missione” e gli obiettivi “chiave”
  3. l’analisi SWOT
  4. la “pianificazione” di lungo periodo e gli obiettivi strategici di medio periodo
  5. il piano strategico (il business plan)

L’analisi strategica può essere effettuata sia a livello aziendale che di singole unità di business (Strategic Business Unit) al fine di meglio focalizzare le strategie  e l’analisi dei fattori critici di successo. Certamente, organizzare l’impresa in aree strategiche di affari (ASA o SBU) consente di pianificare con maggiore profondità gli obiettivi, adottando strategie differenziate per prodotto/settore/mercato. Inoltre, attraverso l’organizzazione per singole unità sarà meno complesso verificare la coerenza tra strategie e risorse, nonché ottimizzarne la produttività.

L’impresa, quindi, può essere articolata su tre differenti livelli: il livello più alto, direzione/proprietà, che approva e consolida i piani strategici; un secondo livello dettagliato per unità di business (SBU) ed un terzo livello che si articola nelle diverse funzioni che compongono l’azienda, dalle vendite al marketing, dalla produzione alla logistica, dagli approvvigionamenti all’amministrazione i cui obiettivi verranno esplicitati nel budget operativo.

E’ fondamentale che le decisioni strategiche e gli obiettivi definiti per ciascuno dei tre livelli descritti, siano coerenti tra loro.

Il processo di elaborazione del budget alimenta una serie considerevole di comunicazioni e di rapporti gestionali per mezzo dei quali gli organi addetti ai vari livelli di controllo (strategico, direzionale ed operativo) sono tenuti informati circa i risultati della gestione. 

Cerniera tra il sistema informativo ed il controllo direzionale è il reporting,  cioè l’insieme ordinato di resoconti, documenti e prospetti con cui il management acquisisce le informazioni necessarie ad un periodico confronto tra obiettivi e consuntivi; quindi il reporting, da un lato, rileva nei tempi e nei modi dovuti l’allineamento dei corsi d’azione con predefiniti programmi, dall’altro costituisce il supporto informativo per una valutazione delle prestazioni manageriali.

Il reporting è per sua natura informativo e deve rilevare con tempestività il sorgere di problemi nelle aree critiche della gestione, ma, per essere orientato alla valutazione delle performance, deve anche essere impostato secondo le responsabilità nel conseguimento degli obiettivi; lo strumento del reporting può, quindi, essere considerato come il processo di comunicazione aziendale dell’informazione prodotta dalle procedure di controllo per la direzione, poiché senza il reporting la grande quantità di dati raccolta attraverso gli svolgimenti delle contabilità aziendali e delle attività di programmazione risulterebbe indisponibile per l’interpretazione o sarebbe comunque accessibile a pochi. L’obiettivo del reporting può, quindi, essere sintetizzato nel dare adeguata rappresentazione ai dati aziendali in prospetti, tavole, schemi, diagrammi e grafici utili per la trasmissione delle informazioni e per la loro interpretazione; un aspetto sostanziale di questo processo è la motivazione alla lettura delle informazioni che il reporting deve essere in grado di suscitare nei suoi destinatari.

E’ opportuno precisare che il reporting può risultare di diversa caratteristica a seconda del suo contenuto:

- reporting economico-finanziario, di derivazione contabile e comunque generato da metodologie quantitative d’azienda volte ad analizzare la dinamica dei valori;

- reporting multidimensionale, che risulta assai composito, essendo formato non solo dalle informazioni di derivazione contabile, ma anche da strumenti di analisi quantitativa di tipo extracontabile, con parametri e indicatori non monetari e con informazioni di natura qualitativa.

In generale, il sistema di reporting si occupa di predisporre i report informativi per i dirigenti/proprietà e la sua progettazione richiede l’individuazione del contenuto di ciascun report e l’individuazione della frequenza di rilevazione. E’ fuori di dubbio che la reportistica  studiata ed individuata dal controller deve presentare alcune caratteristiche fondamentali quali l’attendibilità delle informazioni, la facilità di lettura e la tempestività con la quale le informazioni devono essere rese disponibili.

Ottenere il massimo da quello che esiste significa sfruttarne tutte le potenzialità e le opportunità, il che si può raggiungere solo attraverso il miglior uso possibile dei dati e delle informazioni disponibili. Ecco che allora diventano sempre più importanti per migliorare la competitività delle aziende l’analisi e la conoscenza approfondita delle diverse aree aziendali, attraverso l’uso, ad esempio, delle tecniche di data warehousing, cioè di software gestionali integrati, e delle applicazioni di Business Intelligence.

Il reporting assume configurazioni differenti in relazione alle mansioni, agli impieghi ed alle responsabilità. La struttura del reporting deve rispecchiare il livelli gerarchici di controllo, risultando dunque ripartita in reporting strategici, direzionali ed operativi.  Di fatto, le differenze strutturali dei sistemi di reporting dipendono essenzialmente da tre elementi:

  • l’oggetto, cioè le variabili interne dell’azienda e quelle esterne di mercato e di settore;
  • la configurazione organizzativa, cioè il livello di responsabilità dei vari organi e la cultura economico-finanziaria della direzione;
  • i supporti tecnici, cioè l’attività prevalentemente manuale e l’intervento dell’informazione automatizzata.

Un limite di fondo del sistema di reporting può essere identificato in una insufficienza a svolgere un ruolo di efficace supporto decisionale in quanto focalizzato su alcune delle variabili da cui dipende la redditività nel breve periodo, mentre molte determinanti della capacità competitiva dell’impresa non trovano posto nel reporting; inoltre la traduzione dei dati in termini monetari ha sì il pregio di quantificare l’impatto sul profitto di ogni sua componente elementare, ma spesso non ha la capacità segnaletica di un indicatore operativo. Per il suddetto motivo, i reporting inerenti le varie aree funzionali dell’impresa, quali, ad esempio, quella commerciale, quella produttiva, quella amministrativa e finanziaria, devono delineare il più possibile aspetti anche di natura qualitativa.

Un report commerciale, quindi, deve individuare certamente le informazioni relative alle vendite, sia in termini di quantità venduta e di  fatturato realizzato, rendendo perciò possibile una stima sull’incidenza degli scostamenti inerenti, sia in termini di valore; tale rielaborazione deve, inoltre, consentire  di valutare le differenti redditività di prodotto/commessa/servizio con i relativi margini di contribuzione. Tuttavia,  limitarsi  a costruire un sistema di report  intorno al parametro chiave del reddito appare insufficiente. Oggi l’azienda ha l’esigenza di governare il proprio valore. Il valore dell’impresa è funzione delle sue prospettive future di reddito, che, a loro volta, dipendono dalle risorse anche intangibili che l’impresa impiega per difendere e rafforzare la propria qualità competitiva.  Fondamentale, quindi, sarebbe impostare anche report di benchmarking ad esempio con la concorrenza, monitorando con frequenza costante le informazioni competitive che provengono dal mercato.

Un report di produzione deve con certezza fornire informazioni inerenti il consumo dei fattori produttivi, ma anche rilevare dati,  prospetti e diagrammi relativi sia all’efficienza del processo produttivo stesso sia all’efficacia dell’utilizzo delle risorse nel processo in considerazione, permettendo di effettuare un controllo dinamico dei costi per poter raggiungere nel tempo  soddisfacenti risultati economici e dare l’opportunità alla direzione aziendale di adattarsi con tempestività ai cambiamenti continui e profondi dell’ambiente in cui opera.

Esistono,tuttavia, alcune evidenti criticità  aziendali che possono rendere poco efficace il reporting aziendale. In sintesi i principali fattori critici del sistema impresa possono essere riassunti  nei seguenti punti:

  • investimenti ridotti in ricerca, sviluppo ed innovazione;
  • investimenti ridotti nel personale, che è spesso impreparato per svolgere correttamente il proprio ruolo, scarsamente motivato a perseguire obiettivi di qualità della prestazione piuttosto che di profitto;
  • scarsi investimenti nelle nuove tecnologie, che permettono di ridurre i tempi di lavoro, i costi e gli errori, ma che risultano ancora poco sfruttati. Alcune aziende non ritengono opportuno acquistare tali tecnologie, altre invece pur avendo a disposizione tali strumenti a volte non dispongono di personale in grado di utilizzarli proficuamente poiché non addestrato;
  • eccessiva attenzione alla riduzione dei costi di fornitura. La ricerca del miglior prezzo d’acquisto si traduce spesso in una minor qualità del prodotto/servizio. E’ probabile che sarà il cliente ad accorgersi di tutto ciò e l’azienda fornitrice sarà costretta a sostenere i costi di riparazione, pagare delle penali e subire un danno d’immagine sul mercato;
  • scarsa efficacia delle azioni di ricerca di nuovi clienti e mantenimento di quelli attuali;
  • competenza non adeguata del management. Molte direzioni non creano valore per l’impresa e spesso la soluzione dei problemi che si presentano è funzione delle urgenze e non di strategie mirate;
  • tendenza a completare in fretta il lavoro. Oggi si privilegia la velocità alla qualità, credendo d’essere più efficienti. In realtà spesso si commettono più errori, si peggiora il lavoro degli altri e ci si compromette la credibilità con i clienti più esigenti. Altra causa della fretta è sicuramente il sottodimensionamento dell’organico;
  • cambio generazionale;
  • resistenza al cambiamento. Per diversi motivi (insicurezza, perdita di potere dovuta a perdita di conoscenze, età, paura delle novità) molti imprenditori/direzioni non vogliono cambiare al fine di migliorare le prestazioni della propria organizzazione;
  • debole pianificazione strategica. Molte aziende non sempre pianificano strategie adeguate, definiscono le politiche per il raggiungimento degli obiettivi stabiliti, si attivano per la misurazione dei risultati e per l’applicazione delle azioni correttive.

I suddetti fattori critici sono di fatto elementi che causano limiti strutturali al processo di reporting, che finisce per focalizzarsi principalmente o esclusivamente sulle variabili di redditività di breve periodo, rinunciando a ricercare anche altre variabili legate agli intangibles. Inoltre, l’analisi degli scostamenti finisce per  concentrarsi essenzialmente  sulla quantificazione in termini monetari delle componenti elementari del profitto, limitando gli indicatori con parametri non monetari. Infine, il reporting soffre spesso di scarsa selettività e di ripetitività, con la conseguenza che la direzione/proprietà dell’impresa non realizza un continuo e permanente adattamento dell’azienda alle mutevoli condizioni dell’ambiente, modificando ed adattando le strategie, anche di medio e lungo termine.

In altri termini, perché il sistema di reporting sia efficace deve permettere al responsabile del controllo di gestione di essere sempre più parte del processo di controllo strategico affinché il sistema di programmazione e controllo non appaia insufficiente e legato esclusivamente alla valutazione reddituale.

E’, perciò, fondamentale governare il valore aziendale. Il valore dell’impresa è funzione delle sue prospettive future di reddito, che, a loro volta, dipendono dalle  risorse che l’impresa impiega per difendere e rafforzare la sua qualità competitiva. Così puntare ad aumentare il valore dell’impresa può determinare decisioni capaci di influenzare negativamente il reddito a breve termine, poiché sul  reddito a breve vanno a pesare in misura crescente le spese/investimenti per l’innovazione, per lo sviluppo organizzativo, per la promozione dell’immagine, per l’information technology. La competitività dell’impresa, ossia il suo valore, dipende in misura sempre più crescente da investimenti come quelli sopradescritti, che concorrono ad alimentare la dotazione degli asset immateriale (capitale umano, relazionale, organizzativo, intellettuale) che sono le risorse chiave per il successo dell’impresa.

Se ne deduce che il processo di reporting, perché possa essere di aiuto alla direzione/proprietà che vuole governare il valore dell’impresa, deve:

  1. misurare la capacità dell’impresa di soddisfare non solo l’interesse dell’azionista ma di tutti gli stakeholder, come clienti, fornitori-chiave, i partner strategici, i collaboratori, l’ambiente sociale. Il valore dell’impresa, infatti, dipende dal capitale di fiducia che essa riesce ad accumulare nei confronti di tutti questi soggetti;
  2. misurare le competenze dell’impresa, cioè la sua capacità di gestire determinati processi meglio dei propri competitori, in termini d’efficienza e/o qualità. Dal livello di questo capitale di competenze dipenderà il vantaggio competitivo e, di conseguenza, la futura capacità di reddito;
  3. adottare indicatori di misura diversi, perché le variabili sulle quali esso deve tenere viva l’attenzione del management richiedono indicatori e parametri di varia origine.

Le conseguenze palesi ed operative dei tre punti ora descritti sono che il sistema di controllo di gestione tende a diventare il collettore di misure provenienti dai diversi sottosistemi informativi aziendali ed il suo linguaggio ad assumere connotazioni multidimensionali (valori monetari, indicatori fisici, indicatori percentuali, indicatori convenzionali, ecc.). Per un controllo efficace servono, infatti, anche informazioni non monetarie, modelli di simulazione, l’analisi e l’individuazione delle relazioni causa-effetto. Con la rilevazione dei predetti dati può realizzarsi un controllo di gestione orientato al futuro ed di massima utilità per la direzione/proprietà. Un sì fatto reporting  induce a cercare di capire quali variabili contribuiscono a produrre i risultati economici preventivati ed entro quali limiti queste variabili possono discostarsi senza compromettere il conseguimento degli obiettivi strategici.

In un contesto competitivo e direzionale quale quello descritto esistono due risorse fondamentali per  il raggiungimento di un soddisfacente obiettivo reddituale di lungo periodo dalle quali non si può prescindere: il sistema di controllo ed il  Sistema Informativo Direzionale.

Il sistema di reporting non può essere pensato, progettato e realizzato senza valutare quale sistema informativo direzionale è implementato in azienda. Tale sistema  può definirsi come il meccanismo che raccoglie, archivia e mette a disposizione le informazioni necessarie per:

  • svolgere, in modo informatizzato, alcune attività di base per il funzionamento dell’impresa;
  • disporre d’informazioni a supporto sia delle decisioni strategiche che di quelle di gestione operativa;
  • effettuare un’attività di controllo economico ed operativo non solo a posteriori rispetto allo svolgersi della gestione (feedback), ma anche un controllo antecedente, grazie alla disponibilità di modelli di simulazione a supporto delle decisioni.

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